Il 12 giugno di trent’anni fa un male incurabile privava familiari e noi allievi della presenza del Maestro Claudio Bosello.
Il Maestro è stato uno dei pionieri dell’aikidō nostrano: fu il primo yudansha nominato da Tada Shihan nell’aprile del 1968, in un’epoca in cui non vi era la possibilità di presentare alcuna “domanda d’esame” e il grado di shodan era conferito quando il Sensei riteneva, a suo insindacabile giudizio, che l’allievo avesse raggiunto il livello necessario. Conseguirà successivamente il II dan nel 1970, il III nel 1973 e il IV nel 1979, ricoprendo contestualmente la carica di Vice Presidente della nostra Associazione.
Il suo stile, determinato e intenso, è rimasto indelebilmente impresso nella memoria di chi lo ha conosciuto.
Uomo di cultura, molto forte – sia fisicamente che moralmente – studioso di zen, lottatore e judoka: “una gazzella nel corpo di un rinoceronte”, come lo definì qualcuno.
Scriveva nel 1981:
“La sola vera disgrazia per un Maestro è avere degli allievi che non gli insegnano nulla. E’ un errore, credo comune, pensare che il rapporto allievo-maestro sia di sudditanza; è in realtà un rapporto di devozione che degenera in sudditanza quando l’allievo è passivo e spiritualmente sonnolento, oppure è teso egoisticamente a carpire tecniche che gli diano potere. [...] Un Maestro non possiede nulla, men che meno l’autorità: egli è i volti di ciascun allievo compreso il suo, egli è allievo di sé stesso. Un istruttore ha un solo volto, il proprio e molta autorità. Succede spesso che un istruttore pretenda gli effetti del fascino d’un Maestro, ignorando che la tradizione non tramanda questo rapporto ma solo la sua impalcatura, uno scheletro calcificato entro il quale si gesticola.”
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